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zione politica, esercitata mediante regolari comunicazioni mantenute colla Venezia, aggiunse quella di patronato a favore degli emigrati, e ben anche di assistenza verso gli sprovveduti di mezzi di sussistenza, valendosi di fondi, raccolti presso l’emigrazione meno sventurata sotto tale rapporto. E nulla mai chiedendo per sè, ottenne dall’italiano governo collocamento e soccorsi a molti emigrati che veramente meritavano.

Tale opera del comitato veneto, di cui Cavalletto e Meneghini sono i membri più attivi, continua tuttora.

Chi poche volte vide il nostro protagonista o non ebbe che corti colloqui con esso, può difficilmente farsi una giusta idea del suo carattere.

Amante sopratutto della patria, a questa sola dedica ogni suo pensiero, intera l’opera sua, trascurante affatto ogni proprio individuale interesse. Ragiona con logica chiarezza e brevità, insofferente del parlar divagato, prolisso e non serio.

Le sue opinioni politiche possiamo riassumerle così: fiducia piena in Vittorio Emmanuele, stima sincera per l’abilità e il patriotismo del conte di Cavour; l’opposizione ei vorrebbe si assumesse la parte di spronare il governo attuale, non di traversargli la strada.

Brusco di modi per ordinario, ma compassionevole e pronto a soccorrere chi soffre, è degno del soprannome che gli dettero alcuni suoi conoscenti di burbero-benefico.

I suoi più intimi, nell’anima dei quali ai vivi sentimenti d’amicizia pel Cavalletto andò sempre congiunto il più profondo rispetto per le sue virtù antiche e per la sua incrollabile fermezza non ismossa mai da persecuzioni o sventure, il paragonano volentieri a Catone.



È nato in Torino il 22 agosto del 1801 da Rosalia Grosso e dall’avvocato Giovanni Baldassarre, che godeva nel foro di reputazione veramente superiore ad ogni elogio.