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D’Elci di Toscana, costretti anch’essi ad emigrare, nel secolo passato, per traversie politiche. Perlochè, le tradizioni e lo spirito degli avi accese nei nepoti la speranza di riscossa, che divampò nella rivoluzione del 1820; ma quel tentativo doveva fallire, e nuove sciagure si aggravarono su di questa bersagliata famiglia.

Alle lunghe vessazioni, con longanimità tollerati dal 1820 al 1848, successero più grandi compromissioni politiche nell’epoca suaccennata, le cui conseguenze divennero assai più delle precedenti.

Giuseppe D’Errico, nudrito dapprima di forti studi, tosto, nelle umane lettere, svolse acume d’ingegno e di aspirazioni poetiche; poi, nelle severe discipline matematiche e nelle scienze naturali, dette molto a sperare di sè, trasportando la vaghezza del ritmo, nello sterile campo della pallida scienza. Fin dal 1840 egli aveva frequentati gli studi scientifici in Napoli ed in Roma, ed in quest’ultima città dedicossi allo studio delle lingue semitiche, frequentando il collegio di Propaganda Fide, e quei due colossali ingegni poliglottici, del Majo e del Megrofanti.

Rientrato in Napoli, dopo varî anni passati a Roma, vi riscosse la laurea dottorale d’ingegnere-architetto, e diessi ad esercitare la professione con grande decoro e plauso.

Pubblicava intanto per la stampa un progetto di statistica, che venne assai bene accolto e lodato dai giornali, e da compilatori degli annali civili del regno di Napoli, e varî rapporti intorno ad affari della sua professione.

Ma la maturità dei tempi si andava appressando, ed il D’Errico ne presentiva lo scoppio imminente; recossi adunque in Napoli nel 1848, e diessi a tutt’uomo ad organizzare, insieme ad altri amici liberali, la rivoluzione che si diffuse in tutte le parti del Regno, per mezzo del Comitato Centrale, di cui il D’Errico era segretario, e della compilazione del giornale, il Nazionale.

Il rapido svolgere dei tempi dimostrò tantosto che faceva mestieri dedicarsi all’azione, e per tale obbietto