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nalisi come vorremmo, minutissima, non possiamo tuttavia trattenerci dal riportarne la conclusione.

Questa si riferisce all’epoca, in cui papa Stefano, comprendendo di quanto nocumento fosse il maritaggio di Carlomagno con la figlia di Desiderio re dei Longobardi, Ermengarda, gliela fece ripudiare, con immorali mezzi, e trasse l’imperatore in Italia a danno di Desiderio.

Ecco, questa notevolissima conclusione:

«Cosi acciocchè il pontefice romano potesse divenire principe secolare e regnare, cadde in Italia la potenza reale dei Longobardi che intendeva in ogni modo a riunirla per dar luogo ai nuovi ordini che la dividevano inevitabilmente per undici secoli. Sorse in quella vece la potenza imperiale dei Franchi, non in Italia, perchè mai poscia quest’imperatore non dimorò in Italia, ma fuori. Questa potenza imperiale non concesse diritti all’Italia sopra nessuna nazione, ma dettevi pretesto a molte nazioni di avere alcun diritto sopra di essa. Il quale pretesto quante sventure, quanto sangue e quanta serviti fruttasse all’Italia lo sa il mondo intero, senza bisogno delle mie storie. Caddero i Longobardi italiani per dar luogo ai Franchi stranieri, i quali tramandarono ad altri stranieri, e questi ad altri ancora un titolo che, vano per tutt’altro, fu efficacissimo solamente a insanguinare l’Italia, dalle Alpi al l’estrema Sicilia.

«E il dire che i Longobardi alla fine del secolo VIII non fossero italiani, ma stranieri, è cosa tanto scempia che quasi, anzi certamente non merita risposta veruna. Ogni gente che va a conquistarne un’altra, salvo il caso in cui le diverse religioni, e l’intolleranza di esse vietassero la mistione delle razze, il qual caso non è il nostro, prende, dopo una o al più due generazioni, la lingua ed i costumi della gente conquistata; perchè il più vince il meno, e i conquistatori sono sempre un piccolissimo numero verso i conquistati. Questa è legge eterna del genere umano alla quale non potevano essere un’eccezione i Longobardi. Allora, ancorchè il conquistatore abbia ridotto in uno stato misero e servile il conquistato, la quistione dopo