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«L’amicizia che finisce colla vita di chi si ama è abbietta ostentazione, e quando non si vive coll’amico estinto, e l’estinto con noi, l’amicizia è vanità che pare affetto.

«Quella di Ranieri sopravvisse a Leopardi. Sono secoli parecchi, che la terra e contristata da un sodalizio inverecondo, il quale ha per istituto di fare le tenebre colå ov’è la luce. Ov’esso è il delitto regna, dov’esso passi lascia una striscia di sangue versato per ire fraterne, da esso attizzate; suo cibo è per la calunnia, suo intento, l’abbrutimento universale, il quale fine santifica qualunque mezzo. Avendo la coscienza della propria abbiezione, quando non può nuocere diversamente agli onesti, li fa credere pari a sè, il che è atroce; vi ha forse vituperio maggiore del l’esser detto gesuita?

«Quando Leopardi morì, cotesto sodalizio il volle far credere dei suoi! Sarebbe stata lusinghiera vittoria per esso mostrare alle genti, come un filosofo quale Leopardi, si fosse convertito in gesuita; l’umanità intera ne sarebbe arrossita, ma il sodalizio inverecondo appunto perciò avrebbe trionfato.

«Ranieri provvide all’onore oltraggiato dell’amico, commettendo al Gioberti, non potendolo lui, pel luogo in cui viveva, la vendetta del grande defunto.

«Dopo aver salvato il corpo di Leopardi da sepolcro ignoto, dopo aver salvato il suo onore dalla più nefanda macchia che possa deturpare onore di uomo, Ranieri amico perfetto, provvide alla fama ed alla gloria dell’estinto.

Nel 1845, pei tipi di Le-Monnier aa Firenze, pubblicò in due volumi le opere di Leopardi riordinate secondo l’ultimo intendimento dell’autore, premettendovi una notizia intorno agli scritti, alla vita ed ai costumi di esso, breve, ma stupendo lavoro.

«Cosi Antonio Ranieri compiva i suoi offici d’amico verso Leopardi che amo tanto, e a cui serbò perenne nell’animo un culto d’amore e d’ammirazione».

Per discorrere adesso del Ranieri, in quanto allo scopo politico al quale ha mirato nelle sue opere storiche e filosofiche, è necessario, che noi ricordiamo