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mera e possiamo asserire che la sorpresa fu grande. Dapprincipio nessuno o quasi nessuno prestava attensione al giovine oratore; ma ben presto la sua facilità di parola, l’acume dei suoi frizzi sparsi di sale attico di buona qualità, lo stringere degli argomenti coi quali circondava come d’inestricabile e d’infrangibile rete i suoi avversari, non solo valsero a far tacere tutti i romori, a ripopolare tutti i banchi, ad attirare tutti gli sguardi e far tendere tutte le orecchie, ma ben presto provocarono le risa di approvazione e gli applausi.

Da quel momento il Sella emerse dalla massa assai piana dei suoi colleghi, da quel momento si pronosticò ch’egli salirebbe in alto.

E l’occasione non si fece aspettare. Quando il Rattazzi fu incaricato, dopo la caduta del gabinetto Ricasoli, di formare un nuovo ministero, si rivolse al Sella onde indurlo ad accettare il ministero delle finanze. Il Sella esitò, a vero dire, assaissimo e rifiutò a più riprese; finalmente si arrese e aderì. Bisogna dire che alla prima notizia che si sparse dell’accettazione del portafogli delle finanze per parte del Sella, la meraviglia fu immensa.

Si sarebbe, esempligrazia, compreso benissimo che Quintino Sella fosse stato messo alla testa del ministero d’agricoltura e commercio, o se si voglia, anche del ministero dei lavori pubblici; ma nessuno, o quasi nessuno, sapeva darsi pace che altri avesse avuto l’idea di confidargli il gravissimo carico delle finanze, e ch’egli si fosse indotto ad assumerlo.

Non istaremo poi a dire che molti lo rimproveravano acerbamente di essere entrato in una combinazione ministeriale ch’era in opposizione quasi assoluta, al punto di vista della screziatura parlamentare, col partito in mezzo alle file del quale egli si era sempre tenuto.

Non pochi de’ suoi vecchi amici gli fecero il broncio e forse non si sono più mai riconciliati con esso; tanto che egli ha dovuto poi staccarsi quasi affatto da loro e gettarsi presso che del tutto tra le braccia dei Rattazziani e consorti.