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dono singolarissimo, e tanto valevole in uno stato retto da governo rappresentativo, di possedere una facilità di parola delle più rare. Vero è che il tuono della voce, i moti della persona, e la pronuncia stessa, non corrispondono a quella, e quindi nuocono assai all’efficacia dell’effetto che produrrebbe sugli animi l’oratore.

Poco dopo la fatale perdita del conte di Cavour, al Cordova veniva affidato dal barone Ricasoli il portafogli d’agricoltura e commercio. Durante il breve tempo ch’ei si trovò alla testa di questo importante ramo dell’amministrazione, ebbe campo di semprepiù confermare la favorevole opinione che generalmente si era concepita delle di lui qualità di uomo di Stato. Disgraziatamente non si potè ugualmente lodare la di lui condotta riguardo ai rapporti che dovevano vincolarlo al presidente del consiglio e agli altri suoi colleghi del gabinetto. Ognun ricorda la meschinissima e indegnissima guerra che gli avversarî del Ricasoli facevano a lui e agli altri ministri. Il Cordova solo andava immune da ogni attacco, e non tardò molto a sapersi, che ciò accadeva appunto perchè, mentre egli continuava a far buona ciera ai suoi colleghi ed a rimanersi nel gabinetto presieduto da Ricasoli, aveva delle intelligenze nel campo nemico, nel quale passava indi a poco, con armi e bagaglio, accettando il portafogli di grazia e giustizia, di cui veniva rimunerato dal Rattazzi.

Questa condotta del Cordova fu giudicata molto severamente da tutti gli onesti, e difatti si può dire non abbia precedenti, nè in Italia, nè in verun altro paese retto costituzionalmente, e giova sperare, non sia per trovare imitatori.

Tant’è che l’opinione pubblica, così leale tra noi, si sollevò con impeto talmente irresistibile contro quella sorta di giuoco di destrezza, che fu forza all’autore di esso di dimettersi dal ministero e di ritirarsi nella vita privala. Fatto egregio questo, e che servirà d’esempio a coloro che fossero tentati di seguire una via così lubrica.

Il tempo, poco a poco, ha, se non fatto dimenticare