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di munizioni, mandò un suo scritto al generale Cialdini in cui lo minacciava, ove detti sbarchi fossero stati continuati, di valersi d’ogni mezzo di cui poteva disporre in propria difesa, anche contro la città.

Indignato Cialdini, rispose nel modo seguente:

«In risposta alla lettera ch’Ella mi ha fatto l’onore di dirigermi quest’oggi, devo dirle:

«1.° Che il Re Vittorio Emanuele essendo stato proclamato Re d’Italia dal Parlamento italiano, la di di Lei condotta sarà ormai considerata come aperta ribellione;

«2.° Che per conseguenza non darò a Lei, nè alla sua guarnigione capitolazione di sorta, e che dovranno arrendersi a discrezione;

«3.° Che se Ella fa fuoco sulla città, farò fucilare, dopo la presa della cittadella, tanti ufficiali e soldati della guarnigione quante saranno state le vittime cagionate dal di Lei fuoco sovra Messina;

«4.° Che i di Lei beni e quelli degli ufficiali saranno confiscati per indennizzare i danni recati alle famiglie dei cittadini;

«5.° E per ultimo, che consegnerò Lei e i suoi subordinati al popolo di Messina.»

«Ho costume di tener parola, e senza essere accusato di jattanza, le prometto ch’Ella e i suoi saranno quanto prima nelle mie mani.

«Dopo ciò faccia come crede. Io non riconoscerò più nella S. V. Ill.ma un militare, ma un vile assassino e per tale lo terrà l’Europa intera.»

I lavori d’assedio furono tosto incominciati, ma l’energica risposta del Cialdini aveva prodotto sull’animo del Fergola un salutare effetto. Questi scrisse altra missiva, in termini assai più rimessi, in cui protestava voler risparmiare, per quanto il poteva, la città, e voler solo resistere perchè l’onor militare rimanesse illeso.

Replicò a sua volta il generalissimo italiano, tale linguaggio esser degno d’un vecchio ed onorevole soldato, ch’ei l’approvava pienamente, e che quindi, terminato l’assedio, si sarebbe tenuto felice di stringere la mano di chi lo teneva.