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RUGGERO SETTIMO de’ principi di FITALIA SETTIMO

senatore.

presidente del senato.


Il domani della risurrezione d’un popolo a libera vita, è sacro dovere il ricordare i nomi di quelli uomini intemerati che non tentennarono a farsi campioni della patria nei giorni del pericolo ed in quelli ancor più terribili dell’abbiezione e della schiavitù.

Le lotte in Sicilia, cominciando dalle colonie che venivano da lontane regioni a stabilirvisi contro il diritto delle popolazioni che già l’occupavano, sono state sin oggi sventuratamente perenni. Le colonie, le invasioni, le guerre, gl’intrighi hanno a vicenda fatto passare da un padrone ad un altro l’isola, che per la sua fertilità meritò d’esser chiamala il granajo d’Italia.

Divenuta oggetto d’ambizione, non fu abbastanza forte per difendersi, e quindi le battaglie e le sconfitte, lo straniero e l’oppressione, le congiure e le rivolte; stato di perpetua convulsione, che oggidì, grazie al Dio della nostra nazione, sembra spento, ma che continuerebbe pur tuttavia, se il fascino del concetto unitario non avesse trionfato delle grettezze municipali.

Ma tra le lotte di cui l’istoria ci conserva la ricordanza, nessuna presentò mai tanta ostinazione ed accanitezza, quanto quella dalla quale si è usciti con l’annessione al gran regno d’Italia. Siculi, Greci, Cartaginesi, Romani, Saraceni, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi e Castigliani, tutti quanti insomma i successivi padroni della Sicilia, non han mai dato l’esempio nelle loro nimicizie con le indigene popolazioni, di longanimità d’odio reciproco, d’incompatibilità vicendevole, di estrema situazione, infine, tanto quanto se ne osservarono tra Siciliani e Napoletani in quest’ultimo secolo: in una parola, sotto i Borboni, i quali violando i privilegi degl’isolani, e facendo primi elementi di loro esistenza l’abuso ed il tradimento, resero