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tanto in guanti quanto egli potrebbe guadagnarsi col lavoro assiduo di un’anno.

Dal buco della sua soffitta egli ha il coraggio di palpitare per qualsiasi nobile donzella, avrà anche il coraggio di amarla, e la follia di sperare — Mormorate un po’ all’orecchio di quel povero paria: — ma disgraziato, non vedi che ti colse la più strana delle pazzie? Non pensi che fra te e quella giovinetta vi sta un’abisso senza fine? non pensi tu che sei povero, che dormi sulla paglia fra due cenci di lenzuola, mentre ella riposa fra i morbidi velluti? — Nella tua casa regna lo squallore, questa tua stamberga scarseggia financo di luce, ed ella abita invece un palazzo immenso, ove i tappeti, la seta e l’oro sono profusi con tutto lo splendore — Non vedi che tu ora sei vittima di un sogno, e che domani ridestandoti troverai amaro il tuo pane, insipida la tua acqua, orrida la tua soffitta?»

Ebbene, egli maravigliato vi risponderà che ben poco gli cale di tutto ciò, e ripigliando la sua miserabile esistenza proseguirà collo stesso ardore a sperare.

Ecco come il più delle volte si ragiona in gioventù. Non è che col frutto di una crudele esperienza imparata col volgersi degli anni che si cerca col dolce l’utile; egli è solo nella prima giovinezza che l’uomo lascia libero sfogo agli slanci del suo cuore senza calcolo d’interesse. Saranno follie, ma le sono dolci follie preferibili mille volte alla rigida diffidenza delle anime volgari che passano sotto i raggi ardenti del sole di gioventù facendosi scudo col freddo raziocinio inspirato da un cuore senza vita — La soverchia ragione nei primi anni di esistenza, non può essere che il frutto di ottusità di mente, e d’aridità di cuore — Meglio è ardere nel vesuvio di un’illusione, che trascinare la vita fra fuochi fatui.