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VI

Non era più per Ermanno il caso di resistere, ma di amare. Anco se egli avesse potuto opporsi alla corrente che lo trascinava, non l’avrebbe voluto. La lotta che tende a debellare la felicità, è lotta da stolto.

Ermanno accettava il suo bene senza esaminarlo, nè calcolarne la durata; egli era felice, e per quanto gravi potessero essere le conseguenze del suo disinganno, non valeva certo la pena che loro si sacrificasse la gioja del presente. — Tutto ha fine in questo povero mondo! e l’uomo viene istintivamente predisposto a non curarsi di questa legge fatale che pesa sui destini del creato.

Eppoi, havvi forse da farne meraviglia se in quel periodo di tutta luce che si chiama giovinezza, l’uomo ragiona più col cuore che colla mente? Egli è solo allora che si spera ciò che si desidera; in quell’età di aspirazioni ardenti, non si bada gran fatto agli ostacoli che frappongonsi ad una meta prefissa. — Il senno e la ragione lasciano libero passo ai voli della fantasia che nel suo giovanile entusiasmo spiega arditamente le ali ad eccelse mire. — A vent’anni l’umile artista che abita la soffitta, e mangia pan nero, vagheggia il sorriso della dama che scorre i passeggi sdrajata in cocchio sontuoso; ronza con ingenuità veramente rara sotto le finestre di un ricco palazzo per incontrare lo sguardo di una giovinetta che sciupa