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rire poi più grande, interruppe Letizia. Intanto Laura aveva già preso Ermanno per il braccio, e tirandolo dolcemente lo fece sedere al pianoforte dicendo:

— Animo, favorisca di suonare quel notturnoAl chiaro di luna — ne conosco già una parte.

— Davvero? chiese Ermanno.

— Ma sì, il cugino Alfredo aveva la compiacenza di cantarlo.

Ermanno era confuso, giammai egli aveva incontrato un carattere così vivace, ed ingenuo. Sedendo al piano, alzò gli occhi sulla giovinetta che si era posta a lui di fianco, e stette a contemplarla, anzi ad ammirarla.

Alfredo non aveva punto esagerato; Laura era di una bellezza sorprendente. Nulla di più soave del suo occhio ceruleo improntato di una vivacità straordinaria; in quello sguardo brillava un misto d’ingenuità e civetteria che formava uno strano contrasto. Una bella fronte di neve contornata da ricchissima capigliatura, bionda come quella di un cherubino.

Il complesso della persona gareggiava in vezzi colla soavità del volto, e l’insieme di quella figurina era di una eleganza statuaria.

Ermanno rimase colpito; giammai egli aveva vista fanciulla più bella, giammai nelle ricerche della sua fantasia d’artista, erasi immaginata una realtà così seducente. Abbassò lo sguardo dal volto di lei, e sfiorando colle mani la tastiera del pianoforte, improvvisò uno Scherzo, una specie di Capriccio delicato come le idee che gli si erano destate nell’anima contemplando quella gentil creatura.

Laura stette ad ascoltare senza batter palpebra, e quando egli ebbe terminato, ella corse ad abbracciare la cugina Letizia mormorando: Oh come suona bene!