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lenzio di convenienza; tutti interruppero il filo delle conversazioni, e si posero in ascolto.
Dopo i primi accordi fu spalancata la porta della sala, ed un servo annunziò: Il signor Ermanno Alvise — Laura era in quel momento al fianco di Filippo; quel nome gettato là d’improvviso le gelò il sangue nelle vene. Tutti gli sguardi furono rivolti alla porta, essa sola non ebbe il coraggio di alzare i suoi.
Ermanno comparve sulla soglia calmo e dignitoso, ma pallido come cadavere; l’apparizione di quel volto freddo e sofferente, produsse uno strano effetto su tutti gli astanti.
Papà Ramati gli mosse incontro, e presolo affettuosamente, per mano, lo condusse presso sua moglie, indi pregò il futuro genero di continuare il pezzo incominciato.
Laura si trovava precisamente di fronte ad Ermanno, ma i di lei sguardi non si staccavano mai dalla tastiera ove parevano incatenati. — Filippo suonò con discreta abilità, e non aveva ancor finito, che già gl’invitati battevano fragorosamente le mani.
Il signor Ramati presentò il suo nuovo arrivato ad alcune signore, indi lo lasciò in libertà, e Paolo approfittando del momento si avvicinò all’amico, e gli disse sommesso.
— Te l’aveva pur detto che tu avresti turbata la gioja della festa.
— Oh, perchè mai? chiese Ermanno.
— Io spero che farai uso della ragione per evitare una sconvenienza.... Sei livido.
— Ho la rabbia che mi divora....
— Bada che sei osservato.
— Sta tranquillo.
Laura frattanto erasi riavuta alquanto; ci affret-