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— Hai chiamato mamma?

— Sì, rispose la voce.

— Attendi, porto il lume, e levata una candela dal pianoforte, ritornò nella camera della madre accostandosi premurosamente al letto.

— Ti senti forse male?

— No, no, rispose sorridendo la buona donna, sto benissimo, ho domandato perchè voglio che tu vada al riposo, è molto tardi ed hai lavorato abbastanza.

— Ma no, non sono stanco, ti assicuro che mi sento bene.

— Non importa, tu non sei troppo robusto figlio mio, dà retta a me, va al riposo, da bravo.

— Va bene, mormorò Ermanno sorridendo, vado, ma, per farti piacere.

Nella stessa camera eravi una specie d’alcova nascosta da un’ampia cortina; Ermanno aveva colà il suo lettuccio; vi entrò e poco dopo madre e figlio stavano immersi nel sonno. La madre era una donna sui cinquant’anni ancora ben conservata; in essa consisteva tutta la famiglia del pianista a cui da molti anni era mancato il padre. Non si potrebbero dire i sacrifizi che fece quella buona donna onde assecondare le inclinazioni artistiche del figlio, ma ne riceveva in compenso il ricambio di un’affezione figliale senza pari.

Quelle due creature vivevano l’una dell’altra; Ermanno non usciva mai a meno che non vi fosse costretto dalle sue faccende. Di giorno dava lezioni di musica, verso sera faceva una breve passeggiata colla madre, indi entrambi rientravano; egli si assideva tosto al pianoforte suo fedele amico, come diceva, la madre gli si poneva accanto, e stava ad ascoltare la musica finchè il sonno non le gravava le ciglia, poi se ne andava al riposo — Ermanno fermavasi ancora lunghe ore a studiare senza che per ciò il sonno della