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Per quanto possa essere l’arte inerente all’uomo, nullameno l’artista vive si può dire di una doppia esistenza; l’arte è un’egoista, un’innamorata gelosa che si costituisce nella mente degli uomini un governo speciale, assoluto, determinato a certi momenti in cui tutte le altre facoltà dell’intelletto devono inevitabilmente sottomettersele — L’artista, il vero artista della fantasia, cessa d’esser uomo nel momento che crea, la sua mente sprigionandosi dalla cerchia troppo angusta in cui è costretta, erra libera negli spazi dell’infinito in cerca di emozioni da trasfondere ed imprimere nelle opere d’arte.

Egli è appunto in uno di questi momenti che noi sorprenderemo il giovane pianista Ermanno Alvise, giacchè era desso il gentile disturbatore del silenzio notturno, era desso che colle soavi melodie arrestava il passeggiero per quella via costringendolo ad assaporare sino all’estremo quei melodiosi sospiri.

Un salotto arredato con molto gusto, e di cui principale ornamento era un pianoforte verticale di elegante costruzione, un tavolino ripieno di scartafacci di musica, alcune sedie ed una poltrona che dall’ampia sua forma prometteva un comodo adagiarsi; ecco lo studio del nostro Ermanno il quale stava seduto al pianoforte colle mani erranti sulla tastiera nell’abbandono di chi tenta modulare i concetti che gli attraversano la fantasia.

Ermanno avea 25 anni, la sua statura era un medio, nè troppo alta nè troppo bassa; ciò che più colpiva in lui erano due grand’occhi bruni che spiccavano sopra il volto palliduccio e gramo; la sua figura non aveva nulla di straordinario, all’infuori di una leggiera mestizia che spiravagli dallo sguardo. —

Allorchè egli era rapito dalla corrente delle sue idee, le labbra si socchiudevano lasciando sfuggire un lieve sorriso di soddisfazione.