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il timore di non trovare in quella prima visita quelle dolcezze che si era ripromesse, lo turbavano assai, e camminava macchinalmente seguendo l’amico che lasciavalo a suo bell’agio meditare.
— Eccoci, sclamò Paolo fermandosi davanti al portone di un palazzo.
Tale parola scosse Ermanno che durante la strada percorsa, non aveva saputo trovare un accento che gli servisse d’introduzione.
— Coraggio, dissegli Paolo che aveva rimarcato quel turbamento; non valeva la pena di venire fino a Milano per tremare come tu fai. Pensa che ella ti aspetta, che ti vedrà con gioia, e tu potrai stringere quella graziosa manina. — Ah! briccone fortunato! Davvero che ti invidio.
Intanto erano giunti al secondo piano, e Paolo tirò audacemente la corda del campanello. Mancò poco che ad Ermanno si piegassero le ginocchia per l’emozione, ed allorquando fu aperta la porta, venne preso da sì forte palpito, che gli tolse quasi il respiro.
Un servo introdusse i giovinotti in anticamera, indi andò ad annunziarli ai padroni. — Madama Ramati giunse per la prima, e corse tosto a stringere la mano di Ermanno sclamando:
— Era tempo, bel signorino che ella ci restituisse la visita.... Come va la salute? Che buone nuove ci porta da Brescia... Stanno tutti bene?
— Sì signora, rispose Ermanno quasi interdetto.
— Oh! come sarà contenta la mia Laura per la sua venuta! Ciò servirà a distrarla alquanto. Si figuri che dalla nostra partenza da Brescia, quella biricchina non si conosce più.
— Amor di patria! sclamò Paolo sorridendo.
— Perchè mai signor Paolo? Io credo che fra Brescia e Milano, non siavi da esitare nella scelta. —