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puntato verso il battello, sempre inguantato, abbottonato, e fiero, come se già avesse detto No a tutte quelle belle signore.
Il battello stava per mettersi in moto, quando un signore scalmanato vociò dalla riva: Aspetta... Aspetta, e si precipitò sul ponte.
I Gibella voltatisi a quella chiamata, ebbero una stretta di sgomento.
— Tel chi! l’è lui! — sclamò Martina.
Era proprio il signor Noretti, impiegato della prefettura.
Aveva fatto tardi: un minuto di più, e rimaneva a secco.
Con la faccia abbaruffata, la cravatta di traverso, senza solino, i calzoni sbottonati, valigia, canna e parapioggia in una mano, soprabito nell’altra, e i polsini nello sparato del gilet, il Noretti si fece largo a spintoni fra la gente, e ruzzolò sul battello. Era tempo.
I battellieri puntarono l’arpagone, e la ripa parve ritrarsi, l’elica diede uno sbruffo poderoso nell’acqua verde, ed il naviglio girò maestoso volgendo la prua nera verso l’isola.
Ancora inchini, saluti, scappellate e squassature di fazzoletti dalla riva al battello.