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soavi ricordanze il suo bel lettone di Sanazzaro, la berretta da notte, il cavastivali; e quando aveva un barlume di coscienza del supplizio che gli dava quel ciangolone di professore, pensava:
— Accidenti che botta... va là tira innanz... bagolon d’un bagolon, a mi me n’importa un fic secc di to ciaciarad... Ah quel moster, quel birbante di cuoco le scappà via con la sua pipa... e mi, sempre qui!... — e ricascava nella sonnolenza.
Madama Martina già da un pezzo dormiva coi gomiti sulla tavola, e la testa sulle mani.
Il professore aveva filato diritto fino al sacco di Ameno per parte dei soldati di Tomaso di Savoia, quando si accorse che i suoi uditori ronfiavano in duetto.
Di botto si arrestò, si levò lentamente in piedi, e considerando alquanto quelle due teste addormentate, le benedisse così:
— Io sto a scavezzarmi, e voialtri dormite come caproni! Con tutto il vostro ben di Dio, la vostra casa, il vostro fondaco, non sarete mai altro che pecore da strupo... Oh beata falange degli ignoranti, tu andrai diritta nel paradiso delle oche!
Il professore si ritirò lasciando i Gibella sulla tavola immersi in un sonno profondo.