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gles de magher, ed i camerieri dell’Hôtel S. Giulio che lo servivano erano dello stesso parere, ma aspettavano a pronunziarsi dopo la mancia.
Nè inglese, nè corvo; egli era semplicemente impiegato contabile di una casa del Novarese; Ettorre Rulloni ragioniere, come diceva la sua carta di visita.
Buon giovane, di buona famiglia, ma con una malaccia aristocratica infiltratasi, Dio sa come, nel suo stampo borghese. Smanioso di elevarsi e nobilitarsi, viveva librato nella perenne aspettativa di uno sguardo di dama di alto rango che fosse in grado di apprezzare la sua irreprensibile e corretta eleganza inglese. A questo alto ideale egli dedicava le sue rigide toelette, i suoi guanti di Parigi a tre bottoni, le sue gite ferroviarie in prima classe. E così per quella sua sdegnosità altezzosa, viveva solitario in mezzo al mondo, concentrato nel vuoto come il tamarindi di Brera, muto come un Certosino; e piuttosto che imbrancarsi con gente come che sia, preferiva tenersi compagnia da per sè davanti allo specchio, pavoneggiandosi nell’ammirazione della sua elegante figura.
Lontano dal paese, fuori dell’occhio sindacatore dei conoscenti, il bel Rulloni diguazzava con maggior compiacenza nella sua gravità di misterioso in-