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Suonava mezzodì. Quando si dice... ecco due ore filate via senza noja!
Il sole pigliava in una zaffata rovente tutta la montagnola; una brezzolina increspava il lago avvallato, vibrante una lucentezza fumea di specchio appannato. Qua e là stagnavano chiazze glauche, vitree, come di acqua ferma refrattaria al brisciamento di risacca che marezzava tutto il lago. Le barche rimpicciolite nella lontananza luminosa, rigavano l’onda con una troscia lucente.
Durante i sobbalzoni della discesa, il professore declinò le sue generalità ai suoi nuovi conoscenti.
Si chiamava Fernando Amadeo, professore di lettere e di storia.
Gaudenzio butto giù anch’egli nome e cognome, patria e condizione, e così meglio stabiliti i rapporti di amicizia, con quattro chiacchiere si trovarono in fondo della discesa, senza quasi accorgersene.
Sostarono all’ombra degli ippocastani della solita piazzetta, il professore sedette su una delle panche scrivendo alcuni suoi appunti sopra un grosso taccuino, ed i Gibella intanto disputavano sul modo più decente di ritirare il loro bagaglio dall’Albergo del Persico.
— Te vet là — diceva Martina — se paga el conto, e se porta via la roba.