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chiesta; guardò l’orologio, erano le dieci. Egli sarebbe andato a dormire tanto volontieri.

La giornata era afosa, guardando giù dal Belvedere, si vedeva l’ampio bacino del lago sfumante in una chiarità diffusa di sole che stancava gli occhi. Orta si rannicchiava con le sue casine sulla ripa sferzata da una vampa tropicale.

Un altro cicerone ricominciava la spiegazione delle cappelle per altre cinque o sei persone arrivate di fresco per pigliarsi quelle bastonate.

I Gibella si tennero alla larga, pavidi di essere adunghiati, e si portarono verso il Belvedere.

Passando vicino al Caffè Ristorante del Sacro Monte, come dice l’insegna, Sor Gaudenzio ebbe un’idea.

— Martina... ehm de fa colazion?

Detto fatto. Entrarono nella sala fresca ombrosa, e sedettero in un canto con buone disposizioni di spirito e di appetito.

Una donna di aspetto bonario li avvicinò.

— Se poderisa mangiare qualche cosa?

— Sicuro; due fettine di salame, una costolettina, ova al burro.

— Bene! — esclamò Gaudenzio accomodandosi contento sul sedile. — Dunque che la porta un po’ de salame, e ovi al fogliotto per due.