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gli fece perdere finanche la cognizione del tempo, e vagava come smarrito negli anfratti di quella boscaglia.

Quei fantocci di legno, duri, barocchi, impolverati, con gli occhi morti, lucenti di vernice; quei cavalloni impennati, quei gobbi, quei gozzuti, quei santi Padri dalle teste pelate; quei simulacri di dame pagane protuberanti, ampie, scollacciate, con le poppe colossali, turgide, sbardellate; quell’arruffio di forme, di colori, di fazzoni strane, strambe, strampalate, gli davano fastidiosi capogiri, ed uggie e nausee così profonde, da fargli intravedere come un miraggio di paradiso la sua fondacheria di Sanazzaro, ed il comodo seggiolone, confidente de’ suoi sonnolini del pomeriggio.

Qua e colà in quel dedalo ombroso, si incontravano alla spicciolata gruppi di nuovi visitatori, e solitarii che sbadigliavano attraverso alle inferriate delle cappelle.

Nel viale principale si rincorrevano giocando i bambini dei villeggianti che avevano stanza all’Hôtel Belvedere sorgente lì presso. Le mammine lavoravano di ago o di maglia sulle panchine, pigliando il fresco ed aspettando l’appetito, per non rimetterci sulla pensione.