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Si fecero insegnare la via del Santuario, e s’incamminarono su per l’erta lastricata con certi ciottoli così aspri che si contavano sotto le suole.
Dopo il primo tratto, Gaudenzio, che era innanzi, si fermò per tirare il fiato, e cominciò a levarsi il cappello e strofinarsi la boccia sudata.
— Dinci, che strada de cravon! — e guardò l’altro tratto che svoltava ancora più ripida incassata fra le muraglie.
E avanti tutti e due, con le ginocchia sulla bocca, spingendo talvolta lo sguardo in su per misurare il resto.
Via facendo, si barattarono qualche barzelletta, ma dopo un po’ tacquero e cominciarono a sbuffare uno dopo l’altro.
Giunsero sulla prima spianata, alla cappella dell’Ossario. Di là già si spiegava il panorama del lago e delle montagne. Si fermarono per respirare un poco, guardandosi intorno, senza neanche por occhio sul paesaggio che si svolgeva abbasso.
Andarono invece a guardare i teschi e gli stinchi dell’Ossario. Gaudenzio, soffermando l’attenzione sopra un cranio che portava un berrettino nero, sclamò:
— Quela lì l’era la crapa d’un pret.