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pensò che pur troppo, certe cose della terra si guardano da lontano come la luna.

Martina serrata fino alle orecchie nel suo robone di seta, infagottata nella sua spolverina fatta in famiglia, guardò di schiancio quel petto esuberante, e le braccia nude fino al gomito, e borbottò con lepidezza bottegaja:

La par l’insegna del martes grassi!

E si voltò sdegnosamente per andarsene.

A pochi passi distante, ritto, fiero, imponente, videro l’elegante signorino che ebbero compagno in diligenza e sul battello. Col suo surtout sopra il braccio, inguantato, abbottonato e strangolato nel suo aristocratico solino, stava squadrando le signore con rigida compostezza.

Solo, sempre solo.

Il battello scodellò alcuni passeggieri e filò via altero come galletto, sbuffando il pennacchio fumido nell’aria fulgida di sole.

Quella benedetta scarpa ricominciava a tanagliare il piede della Martina, e prima di cimentarsi nella salita del monte, i Gibella entrarono da un calzolajo per un consulto.

Fu l’affare di un minuto; la pelle del soppiede si era raggricciata; bastava stirarla di quando in quando.