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senza badare alle opposizioni che Martina gli saettava cogli occhi.
Noretti accettò commosso, strinse la mano al droghiere, gli disse che voleva considerarlo come un padre confidandogli tutti i suoi dispiaceri.
Sturata la seconda bottiglia, il signor Noretti incominciò l’istoria.
Martina non ne poteva più; voleva prender aria; ma Gaudenzio ora si trovava bene, chiese un sigaro, e disse alla moglie che poteva andarsene ad ammirare il lago dal terrazzino.
Martina accettò il consiglio, e trascinando la sua scarpetta, andò a sedersi al di fuori.
Ormai ella era sicura che quel signore era più imbecille che borsajuolo.
Gaudenzio, ben lungi dall’aspettarsi il moccolo che gli sovrastava, incrocicchiò le gambe sotto la tavola, puntò un gomito sulla seggiola e si mise in benevolo ascolto. E Jacopo Noretti con la faccia contratta, l’occhio baluginante nei fumi del vino, incominciò a dire che egli beveva e beveva per dimenticare, che per lui non c’era più nè speranza, nè allegria in causa di una disgraziata passione che avrebbe finito per condurlo ad uno sproposito.
E bevendo, gesticolando, stralunando gli occhi