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Il cocchiere frustò, il veicolo rullò barellando sullo stradale, levando un polverìo che acciecava, e quando fu sull’acciottolato di Gozzano, si mise in tali sobbalzi, squassature e scricchiolii che per poco non lo mandavano a fascio.

I viaggiatori nell’interno dicevano sì e no, dondolavano, si inchinavano abburattati da un rullìo come fantocci dinoccolati, e men che meno l’elegante giovinotto, per quanto avesse messo gli occhiali affumicati, e cercasse di mantenersi in una dignitosa resistenza, non poteva sottrarsi a quel volgare dondolamento.

Fuori del paese il fragore delle ruote si spense sul coltrone della strada polverosa, e dopo altri dieci minuti di scombussolìo, ecco finalmente Buccione; ecco il lago lucente, metallico, agitantesi con vivido risucchio nell’aere bigio e freddo della sera!

Il battello, piccolo, svelto, aspettava sbuffando ai capricci del vento il suo pennacchio di fumo denso e grasso.

Primo a scendere fu l’aristocratico giovinotto che era sempre stato sulle spine a contatto del suo prossimo, e non vedeva l’ora di disinfettarsi.

L’ultima fu la signora Martina; aveva perduto uno dei suoi guanti a maglia, e frugava sotto e sopra per cercarlo.