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— Vorria avere il mio dente — disse ancora Martina.
— Il suo dente?... subito; è giusto, è giusto, — rispose il dentista, e frugando sul canterale, prese il dente, lo incartocciò accuratamente, porgendolo con galanteria:
— Eccole il suo dente, signora... vedrà come è guasto... Tanti rispetti, riverisco...
E strisciando le suole in una riverenza che incalzava, chiuse la porta.
— Te disi mi che ghe l’ho ancora el me dente! — borbottava Martina strada facendo.
E Gaudenzio imperioso rispondeva:
— Tasa! lassa sta la ganassa!
Martina taceva e tirava innanzi pensierosa; ma dopo un poco, di nuovo:
— Oh quel ciarlatan, s’è sbaglià de sicura! l’è chi... l’è chi... el senti mi!
— Te fa mal?
— No.
— Donca, l’è miga quel... tocca no!
Martina sopraffatta da quel tono burbero, stette zitta, e di quando in quando sputacchiava per liberarsi dal sapore plumbeo del sangue che le impegolava la bocca.