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un tedio, una nausea, invadevano il suo pensiero trascinandolo suo malgrado a filosofare sulle vicende e gli sconforti della vita.
Quel povero cervello di droghiere, che non aveva mai pensato ad altro che al suo botteghino, che fuori dello zuccaro, del caffè, del suo libro di conti, non aveva mai lanciato nè un dubbio, nè un interrogativo al di là delle quotidiane consuetudini, adesso un po’ per il rovello della febbre, un po’ per la malinconia, naufragava in un pelago di tetraggini opprimenti.
Oh perchè aveva lasciato la sua casetta così tranquilla per imbarcarsi in tante avventure! Gli pareva di essere balestrato lontano le mille miglia dal suo placido tugurio, e lo grancivano in folla tutte le tormentose malinconie dell’esule.
E pensare, Dio Santo, che alla sua età gli poteva incogliere un malanno, e inchiodarlo in quel letto freddo, in quella stanza buia, e morirvi come un cane, lontano dai suoi figliuoli, morire dello stesso colpo apopletico che gli aveva portato via il padre a cinquant’anni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
E cinquant’anni erano ormai suonati anche per lui, la vecchiaja era lì in agguato, e un bel giorno,