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tutta la faccia, nelle orecchie, dietro la nuca, dandole spasimi intollerabili.

Oh! averla lì subito una tanaglia, che gaudio, che consolazione svellere, strappare quel maledetto cavicchio!

Qualche volta il dolore le dava tali morsi da mandarle le fumane alla testa, ed allora la povera signora doveva muoversi, passeggiare disperata in quella camera angusta, e trovava un po’ di refrigerio appoggiando la guancia dolente contro i vetri della finestra.

Gaudenzio aggomitolato nelle coltri, tutto sotto fino agli occhi, un po’ sognacciava vagellando assurdità da febbrettaccia, poi di un tratto si riscuoteva sotto l’incubo di certi premiti che gli mozzavano il respiro, e così con gli occhi serrati noverava i minuti di quella notte eterna. Notte infame, tormentosa, durante la quale gli rinvenivano nel pensiero tutte le noie, le peripezie, le disdette di quella sua gita disgraziata; e quando ricordava quello schiaffo che ancora gli coceva sulla faccia, stringeva i pugni ed i denti, e pensava bestemmie e improperii da turco.

Poi, quietandosi alquanto, si sentiva scendere nell’animo una malinconia infinita: un malessere,