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— Ghe l’ha propri con mi sto luder! — pensava Gaudenzio guardando a schiancio quel mezzo matto che si scalmanava a narrargli cose dell’altro mondo; ma il signor Noretti filava dritto, senza un pensiero al mondo, vociando, gesticolando e volgendo tratto tratto occhiate a squarciasacco verso la grossa signora dell’altra tavola.
Nei suoi discorsi intercalava certi sottintesi che parevano diretti altrove; sembrava ubbriaco più che mai, e puzzava d’acquavite. Metteva manciate di sale sul lesso, e, senza accorgersi, aveva vuotato tutto il vasetto della senapa nel tondo.
Gaudenzio puntava il gomito per tenersi quanto più poteva alla larga, e masticava l’insalata senza neanche sentirne il gusto, tanto era incollerito.
Il signor Noretti intanto gli aveva susurrato in un orecchio:
— Eccola. È lei!
— Chi? — chiese Gaudenzio voltandosi corrucciato e stufo.
E l’altro più piano gli mormorò:
— Quella signora grassa, è Lei... la mia rovina!
— Magari subito! — pensò Gaudenzio voltandogli le spalle; ma Noretti lo aggrappò per la schiena, e gli tubò ancora all’orecchio: