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conoscendo in colui il signor Giacomo Noretti, l’impiegato della prefettura, ubbriacone per disperazione di amore.
In un baleno gli lampeggiò nella memoria la scenaccia di Orta, e quella cantafera dei suoi amori che aveva messo lui e la sua Martina in fuga disperata.
Chinò la faccia sul piatto, sperando di non essere riconosciuto, ma l’altro appena lo vide gli fu sopra come un falco, gridando:
— Oh caro signore! Finalmente ecco che ci troviamo! Riverisco, madama... come sta? e così, e così, si sono divertiti?... ma bravi... pranzeremo insieme!
E ballonzolando, strisciando le suole con malandra disinvoltura, strinse per forza la mano al droghiere, fece una piramidale scappellata a Martina, come se riverisse una principessa, e rimovendo le sedie, e facendo un baccano di casa del diavolo, prese posto a tavola a fianco del signor Gaudenzio, che lo avrebbe mandato tanto volontieri sulla forca.
Tutti si erano voltati a quella chiassata, ma il signor Noretti pareva in casa sua, e cominciò senz’altro a ciaramellare ad alta voce, con una disinvoltura che tirava gli schiaffi.