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— E noi, semo cani? — chiese Gaudenzio stizzito alla donna che aveva accompagnato quei signori.

— Quella è una sala riservata, — rispose colei.

— Ma l’è un’ora che spettiamo!

— Pazienza... a momenti saranno serviti.

Gaudenzio voleva ripicchiare, ma l’altra era già in fondo della scala.

Martina, sempre sul pianerottolo, stava a sentirsi il suo mal di denti.

Finalmente in sala alcuni cominciavano a muoversi da tavola, e Gaudenzio, che era lì in agguato, si precipitò sui primi posti vacanti.

Furono quasi subito serviti sulla mensa ancora sparpagliata dalle briciole degli altri.

Gaudenzio aveva fame, e trovò eccellente l’antipasto; Martina invece, col suo dente allungato e dolente, non poteva assaggiar grazia.

Man mano altri posti si facevano vacanti, ed i Gibella rimasero isolati in capo alla tavola.

Martina si provò a mangiare la minestra, e quella andò giù.

— Sta in gamba, — disse Gaudenzio, — mangià o mangià no, se paga l’istess!

Questo lo sapeva anche lei, e se ne crucciava