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tovagliolo in uno strofinaccio di cucina, come facevano gli avventori di sotto.

E anche lì non un posto, neanche a pagarlo.

I Gibella occhieggiavano sulla porta senza trovare misericordia; nessuno badava a loro; le donne di servizio passavano affaccendate, urtandoli, spingendoli ora su un battente ora sull’altro, senza dirgli crepa. Gaudenzio, un po’ seccato, si decise finalmente di domandare ad una servente che gli passava sui piedi:

— Ma insomma... dova se va a mangiare?

— Un momento — rispose colei, e via giù per le scale senza più voltarsi.

Aspettarono un quarto d’ora, un po’ sull’uscio, un po’ sul pianerottolo.

L’è na bela musica! — borbottò Gaudenzio, e tornò a spiare in sala. Ma quei signori facevano il loro comodo seduti a tavola, come fossero in famiglia.

Una comitiva di nuovi avventori veniva su per le scale.

— Stan freschi! — pensò Gaudenzio.

Invece una donna venne a scontrarli, e li condusse via tutti per un uscio che nello spalancarsi lasciò intravedere una tavola apparecchiata.