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Erano quasi le sei: l’ora del pranzo.
Gaudenzio aveva buone disposizioni di appetito; Martina tutt’altro; il suo dente ricominciava a tribolarla.
S’incamminarono all’albergo schivando i guazzetti, e stringendosi nei panni contro il vento che gli soffiava sulla faccia.
Le vecchie case di Omegna gocciolavano di umidore; i negozi, non ancora illuminati, parevano bocche di spelonche cieche. I salami ed i presciutti esposti sulla bottega del pizzicagnolo, col taglio fresco della carne, gemevano un’atroce stonatura di roseo sanguinante nell’aria bigia e fredda.
Gaudenzio ebbe un brivido di pietà passando vicino a quel carname lacerato, e, per successione di idee, rammentò di aver veduto qualche cosa di simile in un quadro raffigurante il martirio di un povero santo, cui avevano tagliato di netto le gambe, e stava là, poveretto! rassegnato, coi monconi rotondi delle coscie grondanti di sangue e di lacerti.
Brrr... che orrore!
Nell’albergo una ressa di avventori che si rubavano i posti, gente sopra e sotto, in tutte le sale e in tutti i bugigattoli.
Un tepore nutritivo, saturo di fritto e di padella