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E Martina sempre lì, col tovagliolo sulla guancia. La tavoleggiante che sparecchiava, messa al fatto del tormento della signora, sentenziò che la migliore era di farsi strappare il dente guasto. Appunto era di passaggio un cavadenti che il giorno innanzi aveva fatto affaroni sulla piazza; alloggiava poco lungi, nella locanda del Cannon d’Oro; in un attimo, e con un paio di lire, si andava fuori da quel malanno.
Gaudenzio un po’ per sollievo della moglie, ed un po’ anche per desiderio di levarsi la molestia, votava per la strappata del dente, e già aveva chiesto alla moglie:
— Ehm de andà?... l’è un minut.
Era facile il consiglio, ma affrontare la tanaglia è ben altra cosa, e Martina non ne volle sapere.
Salirono invece su nel loro bugigattolo. Martina si buttò sul letto, e Gaudenzio, ravvolgendosi nel solito copripiedi, si incantonò sul sofà, borbottando con un po’ di allegrezza:
— Doman andem a Intra, e la sera sem a casa! E blandito da questo dolce pensiero, si addormentò con l’animo in festa.
Si svegliarono dopo le tre. Non pioveva più, e Martina pareva alquanto sollevata dal suo tormento.