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di vigilia con un resto di indigestione, inaffiato di caffè e latte, e qualche avanzo racimolato a tavola nella distrazione del giorno innanzi.

Ma chi ci bada a quelle inezie! La locanda è sempre piena di dilettanti.

Il Cecco, vecchietto burbero tagliato via da un quadretto Goldoniano, si cuoce da sessant’anni in lesso ed arrosto nella sua cucina fiamminga, ravvolto nel suo ampio grembialone da sguattero; squarta, frigge, rimesta pentoloni, non bada ad alcuno, non parla, non risponde; interrogato, sghiscia in mezzo alle sue padelle, e non si lascia più vedere.

Il buon vecchio ci tiene alla rinomanza del suo esercizio; più sollecito della riputazione che del guadagno, si è assunto in buona fede di rimpinzire la gente a buon mercato, e mandare innocentemente in malora gli osti ed i trattori del dintorno.

— Buona la minestra! magnifica la costoletta! — sclamò Gaudenzio sgocciolando l’ultimo fondo della bottiglia.

Ma la povera Martina non aveva assaggiato grazia; quel maledetto dente le dava trafitture atroci.

Gaudenzio avrebbe fatto volontieri una passeggiatina; ma con quella pioggerella non c’era modo di metter fuori la punta del naso.