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Guardò l’orologio: per la colazione era presto ancora, e visto che Martina stava lì ingrugnita senza voglia di niente, si ravvolse le spalle col copripiedi del letto, e così con quel piviale rigido che gli montava fin sulla nuca, andò a chiudere l’uscio, si raggomitolò sul sofà vicino alla moglie, e stette lì quieto quieto ad aspettare il caldo.
Dopo un’ora di raccoglimento in quella cella semi-buja, sor Gaudenzio pensando che ormai era alla fine della sua odissea, e che l’indomani prima di notte rivedrebbe il suo caro e sospirato paesello, ebbe una scossa allegra che gli svegliò l’appetito, e sgusciando lieto dal suo involucro tepente, andò fuori per vedere se il tempo voleva rimettersi.
Pioveva a secchielli.
Rientrando, disse a Martina:
— Andemo a fa colezion?... chissà che un pò de roba calda te faga ben.
Martina lo seguì rassegnata.
Le tavole della sala grande erano tutte in disordine, ma c’era posto dappertutto, ed i Gibella furono subito serviti di una buona minestra con verdura.
Per solito, dal Cecco non c’è molto lavoro nella mattina; la folla dei tavolanti si fa all’ora del pranzo. Dalle cinque alle sette la locanda rigurgita di clienti;
Cagna. La scampagnata. | 13 |