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Gaudenzio, vedendosi gli abiti imperlati di goccioline che parevano rugiada, tirò fuori il naso dal bavero, lo puntò ancora fumante nell’aria, sclamando con desolata ironia:
— Adess sem bei!... acquarela de sot e de sura? e rituffò il naso indignato nel bavero borbottando il resto.
Oramai si avvicinavano alla sponda di Omegna. La nebbia diradava, ma la pioggia si faceva in crescendo più grossa e tormentosa, il vento la sbatteva giù obliqua, frangendola con rullo rabbioso sui tavolati del battello. Il lago plumbeo, biliottato di fitte bollicine, pareva tutto in ebullizione.
Ce n’era ancora per un venti minuti di viaggio, sotto la sferza di quel rovescio di piova.
E che vento malarbetta! Gaudenzio temeva di vedersi soffiato via di peso, e di andare capolevato a fare un tonfo in quell’acqua verde.
Martina aprì il parasole per ripararsi alla meglio, ma una rapina di vento per poco non glielo strappò di mano.
Il timoniere vedendo quei poveretti bersagliati dal tempaccio, gli disse:
— Potrebbero scendere abbasso.
— Abbasso, dove? — chiese Gaudenzio stralunato.