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segni di lutto, argomentò che quel signore fosse uno di quei milord inglesi ricchi sfondati che viaggiano per economia.

Ma sor Gaudenzio pigliava un granchio a secco fidandosi delle apparenze di quel signorotto che cannocchialava nella nebbia. Quel lungo soprabito da principe incognito, quella gramaglia sul braccio che voleva significare chissà quale altezza di grado e intensità di dolore, quella corretta e lambiccata dignità di gentiluomo, erano penne di pavone che nascondevano un papero della più bella specie.

L’elegante zimbellino non era nè principe, nè milord, nè inglese, ma si chiamava semplicemente Giuseppino Rodella, alias Giuseppe, cameriere al servizio di una casa lombarda di alto rango.

Avvezzo a frusciare nelle eleganze più raffinate e levigate dell’alta società, il baggeo aveva preso l’uzzolo matto di tenersi sulle suste della distinzione, e giacchè i suoi padroni, secondo il tono della moda, erano andati in Iscozia ai bagni, lasciandolo in ferie per un pajo di mesi; egli, il bel merlo, volle come Famiola farla da principe, almeno per ventiquattr’ore.

Co’ suoi risparmi si fece vestire a punto e virgola sull’ultimo figurino, prese addirittura il sopra-