Pagina:Cagna - Alpinisti ciabattoni.djvu/184

168


sassosa, lesto come un daino, minacciando di scavezzarsi in uno sdrucciolone; e quando ebbe fra le sue, la mano grossa, calda, fraterna, del suo liberatore, si sentì dilatare il cuore aggruppato dallo sgomento.

— Eravamo perduti chi denter! — sclamò. — Oh caro professore, che spaghett... che paura!

Il professore tornava da una delle sue solite gite da camoscio su per le montagne. Figurarsi se i Gibella gli andarono dietro! Anche in capo al mondo! tanto fa, non sentivano più nè disagio nè stanchezza, e Gaudenzio, ilare e felice, giurò che adesso si sentiva in vena di camminare anche per tutta la notte.

Il montanaro fu lasciato in libertà, ed il signor Gibella accomiatandolo, gli diede di gran cuore alcuni spiccioli, tenendo come per guadagnate le duecento lire che aveva in borsa, e l’orologio.

Per via i Gibella narrarono al professore le ansie paurose del loro viaggio, ed ebbero quasi dispiacere quando il professore, incredulo del pericolo, li assicurò che si erano tanto allarmati senza fondamento, che i loro sospetti su quell’uomo, erano errati.

Sarà, — pensava Gaudenzio, — se l’era no un brigant, la facia l’era quella di un poc de bon!