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Russava, sbuffava, socchiudeva talvolta gli occhietti imbenzoiti, e poi tornava a ronfiare.

Dalla padronanza che aveva, dal disdegno che mostrava per gli altri, dall’eleganza variopinta e sguajata del vestiario, si indovinava il commesso viaggiatore di una casa in auge.

Nell’angolo opposto un signore alla buona dormiva con gli occhi aperti sopra un giornale; di contro, addossato all’altro sportello, un vecchietto male in sesto, di aspetto sofferente, incravattato come un gozzuto fino alle orecchie, impaludato entro un ampio fraccone nero lucido, mezzo nascosta la faccia magra sotto un cappellone che gli spegneva gli occhi.

Il vecchietto si agitava smanioso come stretto da un’imperiosa urgenza di scendere.

Guardava fuori impaziente, scalpitava, e consultava l’orologio.

Alla stazione di Caltignaga aveva già chiesto al guardia convoglio:

— C’è tempo di?...

Ma gli avevano risposto sbattendogli lo sportello in faccia, e gridando in fretta: Partenza!

E dopo questo signore c’era lui, Gaudenzio Gibella, e Martina Gibella sua moglie.