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po’, invece di salire, si svoltava a dritta, sulla discesa di Artò.

Quel montanino aveva una faccia da galantuomo, ed i Gibella accettarono la sua compagnia con riconoscenza.

Strada facendo, Gaudenzio si mise in chiacchiere col nuovo camerata, e Martina dietro, a badare dove metteva i piedi, perchè si scendeva rapidamente in una valletta stretta e fonda come un pozzo.

E va, e va, e non si arrivava mai in capo di quella strada di capre, che li obbligava a marciare uno dietro l’altro.

Il montanaro, che precedeva, filava dritto co’ suoi garretti sicuri, ma i Gibella per tenergli dietro arrembavano, e non poco. E quando credettero di essere sul buono, ecco che la guida svoltava, abbandonava il sentiero per internarsi in certe gole petrose che mettevano spavento; e mai un’anima viva, non un cane, non uno stambugio durante una sgambettata di quasi un’ora!

Gaudenzio, senza saper darsi una ragione, aveva l’idea fissa che la strada buona fosse a destra; e quell’altro invece svoltava sempre a sinistra.

Brav’omo, andemo giusto de qui?