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burattati, pesti, sgraffignati, eccoli vaganti su per roccie, giù per burroni, come due malandrini scappati dalla galera! sudati, laceri, affamati, ed avvelenati da un’acqua che non la beverebbero neanche i cani!... E questo si dice andare in campagna!
Ma intanto un partito bisognava prenderlo. Erano le tre, ed ancora che indugiassero là entro, il tramonto li pigliava di sorpresa per la strada.
Dopo un picchio e ripicchio di reciproci rinfacci, i coniugi ebbero un buon momento di resipiscenza e si rappacificarono presto, perchè in quella landa solitaria, così lontana dai rumori del mondo, i poveretti sentivano un gran bisogno di stringersi l’uno all’altro.
L’imponente silenzio che governava il grandioso panorama, quelle enormi giogaie petrose, librate nel cielo con ardimenti titanici, gli anfratti ombrosi delle forre, i lontani meandri delle vallicine dileguanti nelle lontananze verdi, ignote, il romire mesto, incessante, delle acque nell’alveo del torrente; tutto quell’insieme di grandioso mistero, rimpiccioliva, sgomentava quei poveri Gibella, tuffandoli per successioni di malinconie, in certi pensieri che parevano versetti da messa da morto.
— Chi bisogna pensà de tirass foera! — disse