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Ma quell’erbetta asciutta, rabbiosa, era lubrica, infida, e spesso or l’uno or l’altro, or tutti e due insieme, scivolavano indietro, e dovevano arrapparsi con mani ed unghie per non ruzzolare di nuovo in quell’acqua chiara.
Martina con l’ombrellino a manico arroncigliato, poteva aiutarsi uncinandosi sugli sterpi; ma era una pietà vederla dal basso a manovrare con mani e piedi su per l’erta, col suo cappellino elegante e fiorito, con le sue scarpette bagnate e insafardate di terriccio.
Sor Gaudenzio per istinto atavico retrocedendo di alcuni gradi nella genealogia della specie, si mise senz’altro a camminare a quattro mani come un antropoide.
Martina era finalmente arrivata al boschetto; anch’egli stava per aggrapparsi alle prime alberelle, quando per un passo in fallo, ebbe un tale sobbalzone che gli fece saltar via il cappello, e con un dispetto da non dirsi, vide il suo bel tegamino nuovo, rotolarsi pian piano fin nel guazzo del torrente.
Non aveva l’abitudine di bestemmiare Gaudenzio, ma questa volta mandò in aria un accidenti rabbioso così, da staccare una mezza dozzina di santi.