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corsa a scaracchiare e nettarsi la bocca col fazzoletto, contraendo il volto in tutte le espressioni della nausea e della ripugnanza.
Gaudenzio allibito, e pur esso impressionato dalle due barchette che gli ballavano sullo stomaco, rispose adirato:
— L’ho bevuda anca mi!..... chi la saveva sta roba?
Ecco finalmente la Cappelletta; ecco a sinistra il sentiero sui prati, ma i Gibella erano tanto ingrugnati, che non si dissero parola.
Sedettero. Martina seguitava a sputacchiare parendole di avere in bocca i sapori più sospetti, e Gaudenzio, oltre all’acqua infetta, aveva anche sullo stomaco quell’ingiuria saettatagli dalla moglie.
La prateria indicata si perdeva giù per un dolce declivio: più in là si ergevano monticoli ravvolti nell’ombrosa frescura delle boscaglie, e dietro si levava alto, ampio, solenne, il grandioso scenario delle montagne pennellate di toni caldi, gradanti dal verde al rossigno, e roccie ambrate, di una maturità vetusta elaborata dal sole e dai secoli.
Non c’era anima viva da interrogare, ma il sentiero del prato era lì; dunque, avanti, non si poteva sbagliare.