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La strada era ripida, lastricata di sassi a balzelloni e taglienti; a destra come muraglia i macigni tagliati nel vivo; a sinistra un declivio rapido di roccie franate, e garzaje di sterpi, che scendevano giù nel torrentello frusciante nel fondo del lavino.
A tratti la strada si svolgeva nell’ombra, parendo che andasse a nascondersi su su nella cervice fronzuta della montagna; ma poi allo svolto, ecco una troscia di sentiero a zig, zag, fulminato dal sole.
Martina aprì l’ombrellino, privandosi così del buon aiuto che le dava puntandolo come bastone.
Sor Gaudenzio calò la visiera del cappello sugli occhi, e cominciò a capire che quel maledetto solino e quei polsini inamidati, erano di troppo.
Erano in marcia da una mezz’ora, e già egli aveva richiesto a dieci persone, se quella era la strada di Artò.
— Sempre diritto — gli rispondevano invariabilmente, ed egli ringraziava, pensando che andar diritto è una cosa, ma arrampicarsi così maledettamente era un’altra.
Di tratto in tratto Martina faceva un alt sedendosi sopra qualche roccione, e Gaudenzio stronfiando e sudando, approfittava della sosta per asciugarsi la testa.