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Dalle due carrozze fangose sbucarono prima tre giovinotti ed un signore attempato, poi due signore tardive, e tre belle signorine vestite con civettuolo sans gène campagnuolo.
Tutti si riversarono nella sala riempiendola di confusione, di risate e di chiacchierio.
Uno si attaccò subito al pianoforte, e strimpellò una tarantella fragorosa, intanto che le donne si liberavano degli involucri e dei cappellini.
All’apparire dell’oste, colui che stava al piano strozzò la suonata, e si levò gridando:
— Oste! bell’oste! cambroato, è pronto?
— Prontissimo, signor avvocato. Quando credono si può dare in tavola.
— Allora, madame e madamine... ognuna al posto per il pasto!
Quest’avvocato, un giovinone sulla trentina, alto, voluminoso, panciuto, con una doppia pappagorgia di grascia sotto il mento, pareva il brillante della compagnia. Le sue lepidezze, i suoi frizzi, provocavano scoppi di ilarità fragorosa.
Le donne erano già sedute a mensa. Le signorine sgusciate agili, eleganti dai loro soprabiti, avevano nella faccia una giocondità risanciona che non si smorzava mai.