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verso la mammina, e giù una leccata, e poi il babbo e poi lo sposo, e finalmente tutti e quattro a baciuccarsi in un mucchio solo.

Avevano bevuto bene; la Zina aveva vampe nelle guancie e meteore negli occhi, e si avviticchiava con fremiti di pantera al collo del suo Errico.

Ghe n’è pù de purcarii de fa? — sclamò Martina stomacata.

In quella gli sposi attraversavano la cucina correndo su per la scaletta alle loro camere, ed i vecchi dietro, raggianti di maliziosa compiacenza.

Il cielo si rabbujava, ed il vento ricominciava a soffiare.

— Dunque — disse Gaudenzio — mettemes a tavola.

Martina non fece opposizioni, aveva appetito, e mentre l’ostessa apparecchiava, Gaudenzio andò a chiudere il balcone.

Furono subito serviti, e si misero a masticare di gusto senza dirsi verbo.

Un rullo di carrozze sulla piazzetta fece accorrere l’oste.

— Ah finalmente, ecco la comitiva aspettata! — e tutta la famiglia del trattore corse sull’uscio a sberrettarsi e far riverenze.