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e sospirando il momento, e mezz’ora prima dell’orario si avviarono alla spiaggia in mezzo ad un rovescione di pioggia che pareva un finimondo.

Finalmente, lontano nella fumèa nebbiosa, ecco un punto nero sull’acqua verdastra, e poco dopo il battello col suo fumaiolo, era in vista.

Filava nero, sbuffante come cetaceo sulle onde scompigliate, e quei poveri Segezzi abbracciati sotto l’ampio parapioggia, sussultavano di sgomento ad ogni squasso dell’onde, ad ogni ondeggiamento della chiglia.

Ah finalmente, ecco uno scialle turchino, ecco un fazzoletto bianco che si agita nella nebbia... è la Zina! è la Zina! e i genitori, fuori le loro pezzuole, e giù sventolate frenetiche, senza più badare all’ombrello strappatogli di mano da una raffica.

All’approdo mamma e figliola, babbo e genero, si legarono, si avvinghiarono in un abbraccio, intercettando il passo ad ognuno.

Pregati di scostarsi alquanto, si ritrassero di un passo, e lì, altro aggrovigliamento di abbracci e di baci; finalmente si accorsero dell’acqua che veniva a catinelle, e tutti a braccetto corsero all’albergo.

In un attimo la sala fu ingombra di valigie e di bauli, e dappertutto un chiasso, un frastuono, e nuovi amplessi, e baci, e lagrime che non finivano più.