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Strepponi che si aspettava di imbattersi in qualcuno che comprendesse le sue disgrazie, non aveva che il conforto di confidarsi con l’ostessa, che lo lasciava dire e dire, e poi finiva col rispondergli sempre:

— Bisogna aver pazienza... la sua signora, poveretta, è ammalata.

Malata un corno, pensava il signor Strepponi, malata sì, ma di rabbia compressa; ed egli, che amava tanto la tranquillità, aveva sempre l’inferno in casa ed il diavolo dappertutto.

Già, lo scompiscione l’aveva fatto lui, sposando una vedova matura, nervosa e rabbiosa come un volpone vecchio.

Egli, da uomo pratico, aveva fatto quel passo sul ragionamento aritmetico che due e due fanno quattro; che cioè col reddito del suo impiego, e coi quattrini della dote, tutto sommato, c’era da tirare innanzi da signori.

Vero, che ella era un po’ passata, un po’ avariata dagli anni, dai nervi, e da un tirocinio di dodici anni di vita coniugale; ma essendo anch’egli sulla maturità, voleva fare le cose ponderate, e giacchè i suoi begli anni li aveva passati sanza frascherie amorose, non voleva adesso sul tramonto tirarsi la