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dialogo ii. | 57 |
veniente, che tutto quel che si può imaginare in ciascuno de gli altri tre modi di fingere; per che quello, ch’è senz’arte, non può esser fatto artefice, quando non ha l’arte, atteso che accaderia, che potesse esser artefice, quando non è artefice. Oltre che costui è simile ad un nato sordo e cieco, il qual mai può venire ad aver pensiero di voci e di colori. Lascio quel che si dice nel Mennone con l’esempio del servo fuggitivo, il qual, fatto presente, non può esser conosciuto che sia lui, se non era noto prima. Onde vogliono per ugual e medesima ragione non posser esser nova scienza o dottrina di specie conoscibili, ma una ricordanza. Nè tampoco può esser fatto artefice, quando ha l’arte; per che allora non si può dir, che si faccia o possa esser fatto artefice, ma che sia artefice.
- Seb.
- Che pare a voi, Onorio, di queste ragioni?
- Onor.
- Dico, che in esaminar cotai discorsi non sia mistiero d’intrattenerci. Basta che dico esser buoni, come certe erbe son buone per certi gusti.
- Seb.
- Ma vorrei saper da Saulino, che magnifica tanto l’asinitade, quanto non può esser magnificata la scienza e speculazione, dottrina e disciplina alcuna, se l’asinitade può aver luogo in altri che ne gli asini, come è dire, se alcuno da quel che non era asino, possa doventar asino per dottrina e disciplina? Per che bisogna, che di questi quel, che insegna, o quel, ch’è insegnato, o così l’uno come l’altro, o nè l’uno nè l’altro, siano asini. Dico, se sarà asino quello solo, che insegna, o quel solo, ch’è insegnato, o nè quello nè questo, o questo e quello insieme? Per che qua col medesimo ordine si può vedere, che in nessun modo si possa inasinire. Dunque de l’asinitade non può essere apprension alcuna, come non è d’arti e di scienze.
- Onor.
- Di questo ne ragionaremo a tavola dopo cena.
Andiamo dunque ch’è ora.
- Cor.
- Propere eamus!
- Saul.
- Su!